Salve Regina

Chi l’ha scritta, quasi mille anni fa, sapeva che cos’è una valle di lacrime. La Salve Regina fu infatti, quasi sicuramente, composta da Ermanno di Reichenau, meglio conosciuto come Ermanno lo storpio. Lo chiamavano anche “il contratto”. I documenti che ne danno notizia parlano di un uomo deforme, con gli arti come attorcigliati a impedirgli non solo di camminare normalmente ma anche di trovare pace disteso o seduto nella sedia costruita apposta per lui. Ermanno, che nella vita non è mai stato comodo se non, probabilmente, quando è sopraggiunta la morte, fu monaco e fine studioso. La preghiera alla Madonna entrata nella storia liturgica della Chiesa è solo uno degli aspetti del suo studio e della sua fede poderosamente intrecciati. Poi ci sono le cronache della storia del mondo, lo studio delle costellazioni, la costruzione di astrolabi. Ancora oggi chi cerca notizie su di lui nelle biblioteche trova i trattati scritti nelle notti insonni nell’abbazia di Reichenau, in un’isoletta nel lago di Costanza. A essere in grado di scrivere ci arrivò probabilmente dopo un lungo allenamento per addomesticare le mani a rispondere alla mente. Nacque il 18 luglio del 1013, esattamente mille anni fa, ed era uno dei 15 figli di Eltrude e Goffredo conte di Althausen di Svevia.
Fu il gesuita inglese Cyril Martindale ad appassionarsi alla sua storia dopo il ritrovamento nella biblioteca di Oxford di un volume in latino che ne riferiva la vita. Quelle pagine, racconta Martindale in un volume molto amato da don Luigi Giussani (Santi, Jaca Book) non parlavano di un handicappato abbandonato, ma di un piccolo affidato alle amorevoli cure dei monaci e diventato presto un compagno prezioso per i religiosi. Misteriosamente in Ermanno la malattia non genera cinismo bensì un’umanità ricca, rigogliosa, coinvolgente. Così la biografia parla di un uomo «piacevole, amichevole, conversevole; sempre ridente; tollerante; gaio; sforzandosi in ogni occasione di essere galantuomo con tutti». Quello che doveva essere un peso diventa presto l’orgoglio del monastero e la sua fama arriva fino all’imperatore Enrico III e a papa Leone IX, che visitarono Reichenau rispettivamente nel 1048 e nel 1049.
Vincere il dolore e la pigrizia non è semplice. Ermanno stesso lo fa capire nell’introduzione a uno dei suoi volumi più complicati, quello in cui spiega come si costruiscono gli astrolabi, marchingegni antenati degli orologi, utilizzati per localizzare o calcolare la posizione del Sole, della Luna, dei pianeti e delle stelle, ma anche per determinare l’ora conoscendo la longitudine. «Ermanno – scrive –, l’infimo dei poveretti di Cristo e dei filosofi dilettanti, il seguace più lento di un ciuco, anzi, di una lumaca è stato indotto dalle preghiere di molti amici a scrivere questo trattato scientifico». Tra gli amici c’è Bertoldo, incaricato di aiutarlo nelle incombenze quotidiane e testimone dei momenti cruciali della sua vita. È a lui che Ermanno affida i suoi pensieri nei giorni della pleurite che lo condurrà alla morte. E l’amico si commuove e si tura le orecchie quando il piccolo monaco, già assaporando la pace della liberazione dal corpo, si dice stanco di vivere.
«La Vita, come la scrisse Bertoldo – osserva Martindale –, è così piena di vita pulsante, Ermanno ne esce veramente vivo! Non perché sapesse scrivere sulla teoria della musica e della matematica, né perché seppe compilare minuziose cronache storiche e leggere tante lingue diverse, ma per il suo coraggio, la bellezza dell’anima sua, la sua serenità nel dolore, la sua prontezza a scherzare e a fare a botta e risposta, la dolcezza dei suoi modi che lo resero “amato da tutti”. (…) Ermanno ci dà la prova che il dolore non significa infelicità, né il piacere la felicità».

Viene anche attribuita anche a Papa Gregorio VII, a Sant’ Agostino da Baggio (morto nel 1086), a san Pietro di Mezonzo, Vescovo di Iria Flavia o, alternativamente a San Bernardo durante la sua permanenza all’eremo dei Santi Jacopo e Verano alla Costa d’ acqua. Probabilmente a san Bernardo appartiene solo la composizione dell’ultimo verso “o clemens, o pia, o dulcis virgo Maria“. Alberico delle Tre Fontane attribuisce la paternità ad Ademaro Monteil.
Nei manoscritti più antichi non compare né il “Mater”, che sarebbe stato aggiunto nel XVI sec, per cui in origine era “Regina misericordiae” (com’è ancora nella versione in uso nel remotorito mozarabico), né il “Virgo”, questo però introdotto molto presto. Talora si può sentire tramandato un “vitae dulcedo”, com’è cantata ad esempio alla Grande Chartreuse.
La forma attuale è stata formalizzata dall’ Abbazia di Cluny nel XII secolo.

Procediamo all’analisi del testo dell’orazione per punti:

  • Salve Regina: Il termine Regina prende spunto dai misteri gloriosi del S. Rosario dove si declama l’incoronazione di Maria regina del cielo e della terra, sia delle litanie recitate alla fine dove Maria viene proclamata Regina degli Angeli, dei profeti, dei Patriarchi, della pace, della famiglia…
  • Madre di misericordia, vita dolcezza e speranza nostra salve: Maria ha generato Gesù, è cooperatrice dell’opera salvifica e con la sua obbedienza, fede e grazia, è divenuta modello di vera vita cristiana, per questo la Vergine viene invocata come speranza di salvezza.
  • A te ricorriamo, esuli figli di Eva: Il sì di Maria ha reso possibile la redenzione dell’umanità dal peccato originato da Adamo ed Eva, Maria è la nuova Eva. Eva è l’esatto contrario di Ave, parola con la quale l’Arcangelo Gabriele si rivolge a Maria nell’Annunciazione.
  • A te sospiriamo gementi e piangenti, in questa valle di lacrime: Tutti gli uomini sono sulla terra solamente di passaggio e sono affranti dal peccato originale, questo provoca il male e la sofferenza. La felicità pertanto non è su questa terra ma nella vita eterna promessa da Cristo.
  • Orsù avvocata nostra, rivolgi a noi i tuoi occhi misericordiosi: La Vergine interviene in nostro favore in qualità di mediatrice, ausiliatrice e soccorritrice in nostro favore presso il Padre, così che i suoi occhi sono dapprima rivolti verso Dio per supplicarlo, poi verso noi per la certezza del perdono.
  • Mostraci dopo questo esilio Gesù il frutto benedetto del tuo seno: E’ in questa frase l’essenza di tutta l’invocazione, mostrare agli uomini Dio che si è fatto veramente uomo e si è rivelato al mondo, grazie alla maternità di questa donna che ha portato in grembo il frutto benedetto dell’amore di Dio. Questo ha permesso all’uomo di uscire dall’esilio cioè dal peccato.

Testo del Salve Regina: latino e italiano

Il testo della Salve Regina come saluto e invocazione alla Vergine, chiude la Liturgia delle Ore e della recita del S. Rosario e si presenta in questa forma originale in latino:

Salve Regina, Mater misericordiae,
vita dulcedo et spes nostra salve.
Ad te clamamus,esule filii di Evae,
ad Te suspiramus,gementes et flentes
in hac lacrimarum valle.
Eia ergo,advocata nostra, illos tuos
misericordes oculos ad nos converte.
Et Jesus, benedictus fructum ventris tui.
Nobis, post hoc exilium, ostende.
O clemens, o pia, o dulcis Virgo Maria.

Dal testo in latino esistono numerose traduzioni, secondo le lingue correnti. Questa la versione in italiano:

Salve Regina, Madre di misericordia
vita, dolcezza e speranza nostra salve.
A te ricorriamo esuli figli di Eva, a te sospiriamo
gementi e piangenti
in questa valle di lacrime.
Orsù dunque avvocata nostra,
rivolgi a noi quei occhi tuoi misericordiosi
e mostraci dopo questo esilio Gesù,
il frutto benedetto del tuo seno.
O clemente o pia o dolcissima Vergine Maria.

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