Beato Bartolo Longo, storia dell’ avvocato della Vergine Maria e di Pompei

Una foto del Beato Bartolo Longo

Bartolo Longo nacque a Latiano, in provincia di Brindisi, ma si trasferì a Napoli per studiarvi Giurisprudenza. Messo in crisi nella fede dalle idee atee e materialistiche, si lasciò coinvolgere nelle pratiche dello spiritismo. Aiutato da un gruppo di santi amici e da saggi consiglieri spirituali, riprese ad accostarsi ai Sacramenti. Inviato dalla contessa Marianna Farnararo vedova De Fusco come amministratore dei suoi beni fondiari nella cittadina di Valle di Pompei, si diede alla diffusione della preghiera del Santo Rosario tra i contadini, bisognosi di riscatto morale e spirituale. Convinto che «chi propaga il Rosario è salvo», costruì non solo una chiesa più grande di quella preesistente, ma un vero e proprio Santuario, con opere caritative annesse. Sposò la contessa per mettere a tacere i pettegolezzi sul loro conto: con lei fu padre degli orfani e dei poveri. Fino all’ultimo scrisse, pregò, lavorò instancabile per la Madonna, la sua dolce Regina e Signora. Morì a Pompei il 5 ottobre 1926. È stato beatificato il 26 ottobre 1980. I suoi resti mortali sono venerati nella cappella a lui dedicata, annessa al Santuario della Beata Vergine del Rosario di Pompei.
Il Santuario della Beata Vergine del Rosario di Pompei si regge su due colonne portanti: carità e preghiera. La prima è esercitata tramite le numerose opere sociali dipendenti dal Santuario stesso: case famiglia, centri educativi, case d’accoglienza. La seconda è la preghiera: anzitutto con il Rosario, la serie di Ave Maria meditate contemplando il volto di Gesù insieme alla Vergine, poi con la pratica dei Quindici Sabati (diventati Venti con l’introduzione, dal 2003, dei Misteri della Luce) e, a mezzogiorno dell’8 maggio e della prima domenica di ottobre, dall’invocazione pubblica e solenne detta Supplica, che fu recitata per la prima volta il 14 ottobre 1883.
Le basi di questi due pilastri sono state poste più di 130 anni fa, quando mise per la prima volta piede in quella località, fino allora conosciuta per gli scavi archeologici scoperti poco più di un secolo prima, colui che avrebbe fondato non solo il Santuario e le opere annesse, ma la città rinnovata: Bartolo Longo.
Nato, come precedente detto, a Latiano, in provincia di Brindisi, il 10 febbraio 1841, venne avviato alla carriera del foro dal secondo marito di sua madre, che lo mandò a Lecce presso un rinomato avvocato; all’epoca, infatti, anche gli studi universitari erano compiuti in privato. La sua vita, in quel periodo, somigliava grosso modo a quella di un universitario di oggi: feste, goliardia e varie piccole storie d’amore.
Per conseguire la laurea in giurisprudenza, Bartolo, ormai ventenne, si trasferì a Napoli. Continuò a trovare svago nei balli e negli incontri con gli amici, insieme a lunghe passeggiate nella campagna di Afragola. Di lì a poco, però, cadde preda di un pericolo più minaccioso di quei divertimenti tutto sommato tranquilli e leciti. Era l’epoca della «Vita di Gesù» scritta da Ernest Renan, che sconvolse non poco l’opinione di molti credenti e diede l’avvio a opere riparatrici e movimenti di protesta. Anche il giovane studente la lesse e vide crollare, uno dopo l’altro, i principi nei quali era stato educato a credere dalla madre, che lo portava con sé a distribuire vestiti e cibo a persone bisognose. Se, come affermava lo scrittore, Gesù era solo un personaggio importante e non il Figlio di Dio, non valeva più la pena di credere in lui.
Così, come altri suoi contemporanei, Bartolo cominciò a frequentare alcune riunioni dove si raccontava che si riuscisse a colloquiare con gli spiriti dei defunti. Era animato da una certa curiosità, ma anche dalla ricerca di qualcosa che placasse la sua angoscia intima. Per cinque anni fu un partecipante a questi circoli, ma, nonostante fosse riuscito a laurearsi il 12 dicembre 1864, non riusciva a sentirsi in pace.
Ne parlò quindi col professor Vincenzo Pepe, pugliese come lui, che non gli risparmiò sonori rimproveri: se avesse continuato con lo spiritismo, sarebbe finito in manicomio. Gli diede anche un consiglio più pacato: per cercare di uscirne, poteva andare a parlare con il domenicano padre Alberto Radente, esperto direttore spirituale.
Circa in quel periodo, inoltre, era andato a trovare un amico, il marchese Francesco Imperiali, quando s’imbatté in una giovane donna, dal portamento nobile ma vestita in maniera dimessa, ovvero non secondo la moda del tempo. Era Caterina Volpicelli, che da tempo aveva iniziato a ospitare in casa propria riunioni ben diverse da quelle alle quali lui era abituato: avevano, infatti, lo scopo di diffondere la devozione al Sacro Cuore di Gesù e di formare i laici attraverso letture e conferenze spirituali. Informata dal marchese, che era suo cognato, decise di pregare e far pregare i suoi amici per la conversione del giovane.
Lui, da parte sua, accettò il suggerimento del professor Pepe. A partire dal 29 maggio 1865, giorno del suo primo colloquio con padre Radente, iniziò a lasciarsi alle spalle le pratiche esoteriche e a ricevere un’istruzione che gli chiarisse tutti i punti rimasti oscuri dopo la lettura del testo di Renan. Il 23 giugno, data in cui cadeva quell’anno la festa del Sacro Cuore, Bartolo si riaccostò all’Eucaristia, dopo che il suo confessore gli aveva concesso l’assoluzione.
Tornato in pace con Dio, doveva ora capire quale strada prendere. Pensò di sposarsi, ma prima un fidanzamento, poi un altro vennero annullati dall’intervento di un altro suo consigliere spirituale, padre Emanuele Ribera, redentorista: era infatti convinto che Dio avesse un piano diverso per lui. Anche padre Radente, cui chiese aiuto, era del medesimo parere. Nel frattempo, Bartolo entrò nel Terz’Ordine di San Domenico, assumendo il nome di fra Rosario, e proseguì la sua formazione nei Cenacoli di preghiera guidati da Caterina Volpicelli, che in seguito fondò le Ancelle del Sacro Cuore ed è stata canonizzata nel 2009.
Improvvisamente, e per un certo tempo, lui che era così assiduo a quegli incontri prese a non venirci. Un’amica della Volpicelli, la contessa Marianna Farnararo vedova De Fusco, s’interessò al suo caso e mandò una sua domestica a controllare: in effetti, era ammalato e non mangiava da giorni, a causa dell’assenza della proprietaria della pensione dove alloggiava. Venne quindi deciso che fosse ospitato da Caterina, mentre avrebbe mangiato a casa della contessa.
Un giorno lei gli fece una proposta lavorativa: doveva occuparsi dell’amministrazione di alcuni suoi possedimenti agricoli, situati in una località detta Valle di Pompei. L’impatto fu decisamente desolante: le rovine dell’antica città romana erano ancora mezze sommerse dalla lava. Non migliore era la condizione dei contadini: i loro figli non avevano un’istruzione, non essendoci scuole, ed erano letteralmente abbandonati; in alcuni casi, avevano perfino i genitori in carcere.
Nell’ottobre 1872 la preoccupazione di Bartolo era giunta al culmine. Uscì dal Casino di caccia (una casa di campagna) dove alloggiava e prese a camminare senza meta. Giunto in una località denominata Arpaja si fermò, col cuore che quasi scoppiava per la pena che sentiva. In quel momento, gli parve di risentire le parole che tante volte padre Radente gli aveva ricordato: «Se cerchi salvezza, propaga il Rosario. È promessa di Maria. Chi propaga il Rosario è salvo!». Sull’orlo della disperazione, alzò il volto e le mani al cielo e supplicò la Vergine: «Se è vero che tu hai promesso a San Domenico che chi propaga il Rosario si salva, io mi salverò perché non uscirò da questa terra di Pompei senza aver qui propagato il tuo Rosario!».
Da allora, cominciando con piccole lotterie con premi a carattere religioso, l’avvocato cercò di rianimare gli abitanti di Valle di Pompei. Il 13 novembre 1875, a conclusione di una missione popolare, fece arrivare un quadro che aveva rintracciato grazie a padre Radente, dono di una religiosa, suor Maria Concetta De Litala: raffigurava la Madonna in trono, con Gesù Bambino in braccio, che porgeva la corona del Rosario a san Domenico e a santa Caterina da Siena.
La folla di pellegrini e devoti aumentò a tal punto che si rese necessario costruire una chiesa più grande. Su consiglio anche del vescovo di Nola (nel cui territorio cadeva Valle di Pompei), monsignor Giuseppe Formisano, iniziò il 9 maggio 1876 la costruzione del nuovo tempio, che terminò nel 1887. Il quadro della Madonna, dopo essere stato opportunamente restaurato, venne sistemato su un trono splendido; l’immagine poi venne incoronata con un diadema d’oro, ornato da più di 700 pietre preziose e benedetto da papa Leone XIII.
La costruzione venne finanziata da innumerevoli offerte di denaro, proveniente dalle tante Associazioni del Rosario sparse in tutta Italia: in breve divenne un centro di grande spiritualità, elevato al grado di Santuario e di Basilica Pontificia.
“Don” Bartolo (così era chiamato per rispetto, secondo l’uso del Sud Italia) istituì anche un orfanotrofio femminile, affidandone la cura alle suore Domenicane Figlie del Rosario di Pompei, da lui fondate. Ancora, fondò l’Istituto dei Figli dei Carcerati in controtendenza alle teorie di Lombroso, secondo cui i figli dei criminali sono per istinto destinati a delinquere; chiamò a dirigerlo i Fratelli delle Scuole Cristiane.
Nel 1884 divenne promotore del periodico «Il Rosario e la Nuova Pompei», che ancora oggi si stampa in centinaia di migliaia di copie, diffuse in tutto il mondo; la stampa era affidata alla tipografia da lui fondata per dare un avvenire ai suoi orfanelli. Tra i suoi amici speciali c’erano padre Ludovico da Casoria, francescano, conoscente anche di Caterina Volpicelli (canonizzato nel 2014) e Giuseppe Moscati, il famoso medico di Napoli (Santo dal 1986), che lo visitò spesso come paziente.
Tuttavia non mancarono le polemiche, in particolare a riguardo del rapporto tra Bartolo e la contessa Marianna, ma anche circa la gestione amministrativa. Dovette intervenire papa Leone XIII in persona, sciogliendo entrambi dagli impegni presi privatamente (lui voleva restare celibe) e invitandoli a unirsi in matrimonio, cosa che avvenne il 1° aprile 1885. Dal 1906 tutti i beni passarono sotto il diretto controllo della Santa Sede.
La particolarità di quel che si vive a Pompei, quindi, risiede completamente nell’affidamento a Maria facendo passare tra le mani i grani della corona, che la già citata Supplica, composta dallo stesso Bartolo Longo, definisce «catena dolce che ci rannodi a Dio». Lui, che morì il 5 ottobre 1926, l’aveva sperimentato di persona, uscendo, con l’aiuto spirituale e materiale dei suoi amici, dal dubbio e dalle pratiche oscure. La Chiesa ha riconosciuto, mediante un accurato processo canonico, che davvero il Rosario l’aveva salvato: è stato infatti beatificato il 26 ottobre 1980, ad opera di san Giovanni Paolo II.
Per suo espresso volere, era stato inizialmente sepolto nella cripta sotto l’altare maggiore. Nel 1983 i suoi resti sono stati traslati in una cappella adiacente alla cripta e infine, nel 2000, sistemati sotto l’altare di una nuova cappella a lui intitolata, situata nel complesso del Santuario.

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